Il Mistero della Pieve di Nimis

de “il Pensatore” 14 agosto 2020

La conoscenza si basa sulle domande, o, se preferite, sulla voglia di sapere; le domande, a loro volta, possono basarsi su una necessità vitale oppure sul semplice capriccio: altrettanto, ambedue queste tipologie possono essere condivise dai molti oppure di pertinenza del singolo individuo. Senz’altro, i due rosoni, parzialmente sovrapposti, sulla facciata della pieve dei santi Gervasio e Protasio a Nimis1, sono fonte di stupore generale: che significato hanno? Ovviamente, non posso affermare di conoscere tutte le facciate delle chiese medievali, sicché mi limito a dire che io non ho mai visto una composizione così particolare, che tende più all’unicità che alla rarità: sì, questo sento di poterlo affermare.

Quei due rosoni impattano sull’emotività dello spettatore, ridestando sensazioni nascoste da strati cognitivi sovrapposti, un quid antico viene sfiorato e vibra di conseguenza: ci siamo imbattuti nella raffigurazione di un archetipo che porta a risonanza quella sua immagine presente dentro di noi? Ma di che archetipo può trattarsi in questa circostanza? Ecco, adesso dall’iniziale fase di affascinamento bisogna passare a quella della ricerca. Non è il caso di ripetere dati storici che sono già accessibili nell’ottimo sito http://parrocchiadinimis.it/san-gervasio-e-protasio/, l’interessato li troverà colà; ciò che mi interessa è approfondire un’analisi che si basa su alcuni elementi architettonici, qui basti dire che la fondazione risale all’epoca teodosiana. Essenzialmente, il motivo di questo particolarissimo effetto scenico è stato – ciò detto in estrema sintesi – l’ampliamento della chiesa effettuato in piena epoca medioevale, probabilmente verso la fine dell’XI secolo; questo ha comportato che il precedente – e più grande rosone – non fosse più al centro della facciata, sicché è stato necessario farne un altro: simmetria è sinonimo di armonia, cioè di bellezza.

In epoca medioevale, in conseguenza di un rifacimento di una qualsivoglia facciata, era prassi inserire negli spazi vuoti –sia nel caso di finestre, usci e portici, divenuti per un qualche motivo obsoleti2 – materiale di costruzione uguale a quello che formava le pareti circostanti, cioè, pietre o mattoni. Attenzione, quale che fosse, esso veniva messo accuratamente a filo e nello stesso senso con la superficie di contorno, così che l’esistenza dell’antico vano era – ed è in tantissimi casi anche oggi – percepibile solo grazie alla cornice preesistente. Il motivo di questa precisione era dovuto al fatto che quelle pareti erano destinate a rimanere a vista, cioè senza intonaco, sicché non sarebbe stata bella figura mostrare materiali diversi e posizionati a casaccio. Questo non è avvenuto a Nimis durante quei lavori, quasi un millennio fa, ma l’esito è tutt’altro che un fastidio per gli occhi. L’ignoto capomastro, pur occludendolo, non ha messo a livello l’antico rosone, lasciandone anche chiaramente visibile la circonferenza esterna delimitata da mattoni, nell’ambito della facciata in pietra. Non solo, egli ha costruito il nuovo rosone in modo che si intersecasse al precedente, ma, ciò che è più eclatante, lo ha fatto decisamente più piccolo, nonostante avesse lo spazio –potendo inglobare senza problemi quello vecchio- per farne uno maestoso e più consono all’aumentata superficie. Ecco, il secondo rosone non è sufficientemente grande per essere davvero proporzionato al suo contesto, come mai questa stranezza?3 Prima di proseguire in questo senso, debbo aggiungere che esiste un altro aspetto particolarmente intrigante: al momento dell’ampliamento, il capomastro non ha occultato la feritoia posta sotto il vecchio rosone, ma, qual è lo scopo della feritoia? Quest’apertura è un elemento assai costante nell’architettura ecclesiastica almeno a partire dal periodo longobardo4, pur non essendo ubiquo. Il suo scopo era quello di inviare un fascio di luce, in un determinato istante e durante un determinato giorno dell’anno, su un dato punto posto sulla facciata posteriore interna della chiesa: visto che, ovviamente, un raggio solare –nubi permettendo- entrava comunque ogni giorno, quale che fosse il punto voluto poteva essere stabilito solo dal costruttore. Nel nuovo testamento non v’è alcuna regola riguardo alla costruzione ed all’orientamento degli edifici che debbono ospitare le ecclesìe ἐκκλησίαι, ­ in greco – cioè le comunità dei fedeli; le chiese paleocristiane, in grande maggioranza, sono rivolte con l’entrata ad Ovest e l’altare ad Est, di modo che il sacerdote possa officiare il culto mattutino rivolto verso la levata del Sole5. Nel momento della presa del potere totale sull’ecumene, Costantino è un seguace di quella divinità cosmica ormai frutto della simbiosi tra Mithra e Sol Invictus, sicché, Attansio d’Alessandria, forse inconsapevolmente, ci dà una notizia che ricalca il sentimento dell’augusto sponsor del concilio di Nicea:

“…e la posizione delle chiese così era, affinché i fedeli, rivolti all’altare, pregassero verso il Sole, simbolo di Cristo, che è sia il sole della giustizia e sia la luce del mondo.” 6

Questa regola ufficiosa viene codificata nelle di poco successive “Costituzioni Apostoliche: II,7” del IV secolo7,e ciò è ulteriore prova di quanto il culto cristiano debba al preesistente culto mitraico e solare. Purtroppo, non è possibile nemmeno ipotizzare verso cosa potesse puntare quel particolare raggio di sole, in quell’ignoto momento di un inconoscibile giorno: in epoca contemporanea, un mosaico è stato sovrapposto all’affresco medioevale che impreziosiva proprio la parete orientale, né vi sono fotografie disponibili, si sa solo che esso raffigurava un qualcosa tratto dall’Apocalisse di Giovanni, davvero un gran peccato. Un altro elemento che stacca la pieve dal resto delle chiese d’ogni tempo è il posizionamento attuale del campanile: prima del rifacimento del XII secolo, il campanile, guardando verso la facciata, era attaccato alla parete di destra. Al momento dell’ampliamento, invece, esso viene ricostruito separatamente dal corpo principale e posto innanzi alla navata destra, come mai questo notevole cambiamento? Purtroppo, la risposta definitiva è sfuggente, ma cercherò di chiarire qualche dettaglio, La pieve sorge su una collinetta apparentemente angusta rispetto all’immediato contesto, che però è frutto di secoli di cambiamenti dovuti all’urbanizzazione, sicché non abbiamo prove che non ci fosse davvero spazio per riproporre la precedente pianta strutturale in versione ampliata; comunque sia avvenuto, un dislivello tutt’altro che ripido non è mai stato un deterrente alla costruzione né di edifici religiosi e né di edifici militari, anche colossali. Ma è la visione dall’alto, grazie a Google Maps, a darmi una sensazione assai intrigante: il campanile non è parallelo alla chiesa bensì è posizionato, puntando sulla parete posteriore, a formare un angolo acuto – o, più precisamente, un triangolo scaleno – con il lato occidentale della facciata. Sia detto per inciso: adesso, mi limito a dire che il vertice di questo angolo punta verso un altro elemento molto interessante, che vedremo poi.

Tornando all’aspetto architettonico: siamo innanzi ad un errore pacchiano? Non credo proprio; ordunque, se non ho basi per poter indicare una qualsivoglia certezza sul motivo di separare il campanile dal corpo principale, qui, invece, non ho dubbi: l’ignoto maestro costruttore ha voluto sottolineare l’allineamento astronomico azimutale della pieve, ovviamente, questa precisione non sarebbe stata assolutamente possibile se i due edifici fossero stati paralleli. Il grafico appena messo, ideato dal prof. Adriano Gaspani, è quasi completamente sovrapponibile alla menzionata veduta dall’alto fornita da Google Maps. Uso l’avverbio “quasi” poiché il centro del campanile non è sull’asse della chiesa, cosa ovviamente impossibile: se così fosse stato avrebbe bloccato sia l’accesso visivo che fisico alla chiesa. Siamo di fronte ad un lavoro accurato e mirato; per favore, non ci si inganni a causa della povera tecnologia del tempo: allora, le crociate avevano già messo gli europei innanzi alle tante eccellenze della matematica araba, luminosa figlia di quella greca; non solo, anche la bussola – inventata dai cinesi, poi portata dai selgiuchidi sul Mediterraneo ed infine resa famosa dagli amalfitani – era disponibile, pur se non di moda come invece è oggi. Ecco, giunti a questo punto, ritengo legittimo pensare ad un capomastro quasi alla pari di quelli citati da Fulcanelli nella sua opera più famosa: “Le Mystère des Cathédrales”; ma, ovviamente, all’occhio nudo, non è questa la vera stranezza: sì, di primo acchito, i due rosoni sono il vero colpo di scena. Solo a me, fin dal primo momento, è capitato di pensare alla raffigurazione di un’eclissi solare? Non credo proprio, però, la mia prima sensazione è stata struggente, ma andiamo con ordine. Ritengo congruo associare la validità di questa eventualità a due elementi. Il primo, e chiaramente più importante, è il palese riferimento all’eclissi solare che, in base al racconto dei sinottici, accadde al momento della morte di Gesù sulla croce8. Il secondo potrebbe darci, con buona probabilità, un’idea sul periodo in cui il rifacimento è stato effettuato: un’eclissi solare famosa di quel tempo fu visibile in Italia il 16 febbrario del 1086, di essa c’è menzione nella storia dei normanni in Sicilia di Goffredo Malaterra:

”Nel sesto giorno del mese di febbraio, tra la sesta e la nona ora, il sole fu oscurato per il tempo di tre ore; l’evento fu così grande che chiunque stesse lavorando al chiuso dovette accendere le lampade. Davvero, alcuni andarono da casa in casa per avere lanterne o torce. Molti furono i terrorizzati”9

Avviandomi a concludere, voglio sottolineare proprio l’elemento che in questo contesto ho trovato sommamente intrigante, seppure non di immediata percezione. Esattamente al vertice10 della triangolazione di cui sopra si trova una lapide raffigurante una croce gigliata patente su un compasso dotato di rivetto a cerniera.

Questa lapide – un rettangolo di circa 40 cm per 70, probabilmente una lastra tufacea – è quasi occultata da un palo della luce, ma, per fortuna è ben visibile anche con Google Maps. Essa è o un retaggio massonico propriamente detto oppure è, comunque, un segno di sincretismo tra il messaggio cristico e l’esoterismo. Il fatto che il compasso non sia sormontato dalla squadra non inficia, sia chiaro, l’attribuzione massonica: la simbologia massonica universale è pressocché illimitata. Dato che la lapide, ovviamente, è più recente rispetto alla pieve, colui che l’ha posizionata in quel particolarissimo modo – all’estremo lato destro della facciata – ha voluto enfatizzare la complementarietà, la sinergia, tra le due tradizioni. Perché dico “particolarissimo modo”? Le lapidi, le cotte d’armi e, in generale, i simboli araldici sono posizionati precisamente sopra le entrate principali; eccezionalmente, quasi sempre per mancanza di spazio, vengono poste lateralmente accanto all’entrata, affinché chiunque entri possa vedere facilmente quanto raffigurato. Questa volta no: nessuna simmetria con la facciata ed il portone è stata rispettata, non è stato questo lo scopo, bensì, si è voluto effettuare l’allineamento sul vertice del triangolo ideale già menzionato. La lastra risale a secoli fa e, forse, è impossibile dire quanti; la croce ed il compasso sono stati scalpellati a mano e qui bisogna aggiungere un elemento. Se è assolutamente vero che il 24 giugno 1717 – festa cristiana dedicata al Precursore, e nulla è per caso – quattro logge londinesi si fondono creando la prima fratellanza massonica moderna, è altrettanto vero che Robert Lomas e Christopher Knight – due illustri fratelli britannici – hanno dimostrato che la tradizione massonica è assai più antica: insomma, in quel particolare giorno di inizio estate essa è semplicemente venuta allo scoperto11. Parlando di stili, comunque sia, la lapide mi suscita un accostamento tardo barocco. Purtroppo, non sono riuscito a scoprire chi sia stata la famiglia proprietaria di quella abitazione secoli fa, nemmeno sono in grado di dire se gli attuali proprietari siano i diretti suoi discendenti. Giunti qui alla fine, posso, però, affermare che Nimis è un ameno borgo che merita un’attenta visita per diversi e coinvolgenti motivi.

NOTE

1 Ringrazio monsignor Rizieri, parroco di Nimis, per la paziente consulenza datami sulle fasi storiche dei lavori di costruzione e successivi restauri.

2 Per fare un solo esempio, le vie del centro della meravigliosa Siena abbondano di questi rimaneggiamenti.

3 Negli anni trenta del secolo scorso, la facciata venne ricoperta da malta, a sua volta intonacata e stuccata, occultando completamente i rosoni e la feritoia sottostante. Negli anni sessanta, un assai più intelligente restauro ha riportato alla luce la preziosa ed unica facciata originale; altrettanto fedele è stato il recupero dopo il terremoto del 1976.

4 La questione dell’origine temporale di questo elemento architettonico è ancora dibattuta, sicché non ritengo che in questa sede sia necessario dilungarmi oltre.

5I templi delle divinità patrie romane – così come quelli greci – erano, in linea di massima, rivolti con le facciate ad Est, verso il Sole nascente; in tal senso sono orientate anche la basilica di San Pietro e quella di San Giovanni in Laterano, ma non sono le uniche eccezioni in ambito cattolico.

6 Mia traduzione da Attanasio d’Alessandria, “Quaestiones in Evangelia, 14”, riportato da Carolus Kozma De Papi in “Liturgica Sacra Catholica: Exhibens Sacrorum Ecclesiae Romano-Catholicae Rituum Origines, Causas, Significationes” 1861, riprodotto in PDF da Nabu Press, Firenze, 2012.

7 Vedasi “L’orientazione astronomica delle chiese cristiane” di Adriano Gaspani, Istituto Nazionale di Astrofisica – Inaf, Brera, Milano.

8 Marco 15:33;  Matteo 27:45; Matteo 25:51-54; Luca 23:44

9 Mia traduzione da https://www.britannica.com/science/eclipse/Medieval-European. Per la precisione, nessuna eclissi può durare più di qualche minuto; tutt’al più un oggetto sufficientemente grande – ma quale? – che si frapponga ad una congrua altezza tra sole e terra può dare la falsa apparenza di un’eclissi.

10 Sulla facciata di una casa, oltre la strada. L’allineamento è chiaramente visibile anche usando un drone sufficientemente avanzato.

11 Quasi tutti i libri di Lomas e Knight sono stati tradotti in italiano, ma non hanno mai ricevuto attenzione nell’ambito delle grandi emittenti televisive, sicché sono quasi rimasti sconosciuti al grande pubblico, spesso classificati – in modo assai farisaico – come letteratura new age. In particolare, suggerisco la lettura di: “La Chiave di Hiram”, “Il Secondo Messia” e “Il Segreto dei Massoni”, del solo Lomas.

Foto: andrea nicola

Mascherine – di Maurizio Fani

FONTE:https://www.facebook.com/Dreamempower/posts/1331309597054428

LA LEGGE DEL “COPIA&INCOLLA”

1. L’ORIGINE DELLA MASCHERA

2. ANNULLAMENTO DELLA PERSONALITÀ

3. LA FUNZIONE “COPIA&INCOLLA”

4. LA PSICOMAGIA DI JODOROWSKY

5. IL SIMBOLISMO ONIRICO DELLA MASCHERA

6. CONCLUSIONE

Mi occuperò di mascherine. Lo farò partendo dal mio punto di vista che è quello simbolico. Purtroppo dovrò essere telegrafico altrimenti dovrei scriverci un libro e chiedo venia in anticipo per l’immancabile incompletezza di questo scritto.

A me interessa offrire solamente elementi di riflessione socratica, non certamente pretendere di avere ragione o di possedere la verità.

Questo non è un atto di accusa contro nessuno ma solo un invito al pensiero critico autonomo e a considerare alcune sfumature che certamente non sono alla portata di chiunque.

Voglio indagare insieme con te quali forze ed energie quel piccolo oggetto può innescare o addirittura favorire e mantenere indelebili nell’inconscio.

Non voglio spendere molte parole sull’assurdità di tutta questa vicenda perché ormai chiunque sia in grado di detenere un minimo di pensiero autonomo si sarà reso conto delle macroscopiche contraddizioni e della colpevole falsità dell’informazione da parte del mainstream.

A prescindere da ogni opinione mi concentrerò sull’uso di queste benedette mascherine. Sul loro utilizzo è stato scritto di tutto. Per dispiegare il simbolo ho bisogno di partire dall’oggetto indagato. La mascherina oramai è un simbolo a tutti gli effetti.

Circa la loro reale utilità non c’è un’unica e assoluta risposta.L’Organizzazione Mondiale della Sanità e il ministero della Salute italiano dicono che le persone sane devono usare le mascherine solo se stanno fornendo assistenza a persone certamente malate di COVID-19, o con sintomi che facciano sospettare la malattia. Viene inoltre consigliato di indossare una mascherina nel caso in cui si abbiano tosse e altri problemi alle vie aeree.

Fino a qui un qualche senso logico esiste.

Sono nate come “presidi medici chirurgici” per affrontare certe specifiche situazioni, contingentate nel tempo, per poi essere gettate poiché non più idonee.

Molti virologi e “veri”esperti si sono pronunciati in merito. Il Prof. Tarro ha risposto così: «La mascherina andrebbe usata solo quando, nella fase in cui ci troviamo, non c’è la possibilità di osservare la distanza minima di un metro e se ci si trova con persone non conosciute. Altrimenti non va usata, specialmente in luoghi all’aperto. Le mascherine non sono il massimo dell’igiene. Io starei attento nel loro uso, nel loro riuso e nel loro abuso. Quando arriverà il caldo, sarà bene gettarle via».

L’Ordine dei Medici Sportivi di Cagliari ha sollevato un problema per chi pratica attività sportiva. Chi si sottopone a sforzo, con la mascherina che copre naso e bocca, respira una quantità maggiore di anidride carbonica, rischiando di andare in alcalosi e quindi rischiando lo svenimento. Perché, in questo modo, si respira una miscela di CO2 superiore a quella presente nell’aria.

Il Dott. Montanari ha affermato: «Usare la mascherina e pensare che protegga dal virus è come credere di impedire l’entrata in stanza delle zanzare mettendo un’inferriata alla finestra». L’efficacia temporale della mascherina è stata riconosciuta per alcuni di pochi minuti, per altri di qualche ora ma sempre limitata nel tempo a causa dell’inevitabile concentrazione sul tessuto di germi patogeni come batteri, virus e muffe. Inoltre occorre essere ben accorti nel suo uso. Cioè non toccarla con le mani (sempre minuziosamente lavate), indossarla correttamente che copra sia naso che bocca, e soprattutto tenerla il meno possibile, non riutilizzarla mai, e poi gettarla.

Invece vediamo persone che la indossano in situazioni a dir poco imbarazzanti come:

– in auto con i finestrini chiusi da soli;

– mentre si passeggia da soli distanti da altri;

– andando in bicicletta o in motorino;

– facendo jogging;

– lavorando in giardino di proprietà sempre da soli o con familiari.

Probabilmente alcuni la indosseranno anche in casa.

Ciò che mi ha colpito è stato l’enorme numero di adolescenti che rincorrendosi in bicicletta la indossavano!

Altro fattore interessante è la frustrazione e la rabbia che una simile precauzione causa nei soggetti.Si sono verificati molti casi di aggressione, verbale e fisica, nei confronti di chi non la indossava. Delazioni e segnalazioni sono all’ordine del giorno.

Assistiamo a un “incattivimento” delle persone che inevitabilmente si scarica sul presunto colpevole, odierno untore, causa di tutti i mali, percepito addirittura come soggetto che, mette in pericolo la vita degli altri.

Una volta esisteva L’Uomo mascherato (in inglese “The Phantom”, ossia “il fantasma”), conosciuto anche come “l’Ombra che cammina”, è un personaggio dei fumetti d’avventura statunitensi creato nel 1936 dallo sceneggiatore Lee Falk e disegnato da Ray Moore; è uno dei più famosi personaggi del fumetto mondiale. Capostipite degli eroi mascherati in calzamaglia e senza superpoteri, e senza condurre una doppia vita, raggiunge fin dall’inizio un vasto successo grazie al fascino del personaggio e alla ricchezza della trama avventurosa sostenuta da un vasto immaginario fantastico con aspetti mitologici, risvolti psicologici, tematiche noir, modernismo ed ecologia.

Molti Supereroi hanno la maschera. Per citarne alcuni partiamo da “Devil” per giungere al più noto “Spyder Man”, da Kriminal a Satanik per giungere a Diabolik.Tutti soggetti “unici” CHE ATTRAVERSO LA MASCHERA MANIFESTAVANO LA LORO ORIGINALITÀ.

Invece l’attuale mascherina serve a uno scopo molto diverso.

Procediamo per ordine.

1) L’ORIGINE DELLA MASCHERA

L’uso della maschera nasconde un atavico e complesso significato che attraversa ogni comportamento dell’uomo: dalla guerra alla morte, dalla festa alle espressioni artistiche, fino a giungere ai rituali religiosi, magici ed esoterici. La maschera per sua natura occulta, cancella ogni emozione, nasconde, impedisce alla realtà che la indossa di essere se stesso e lo trasforma in altro da sé.

Nel film “Eyes wide shut” con Tom Cruise, nella scena dell’orgia, tutti facevano ricorso alla maschera per comportarsi più liberamente in maniera meccanica e animalesca. Il Carnevale di Venezia o altri eventi simili, erano situazioni in cui era lecito dare libero sfogo all’erotismo. La parola stessa, secondo una delle etimologie più diffuse, deriva dal latino carnis laxatio, evolutosi nell’italiano antico “Carnasciale”, con il significato di “abbandono della carne”. Una volta era definito carnevale solo il martedì grasso, e il termine “abbandonare la carne” possiede anche un’altra logica, considerando che il giorno dopo era il mercoledì delle “ceneri” quindi si entrava nella Quaresima e nell’astinenza dalla carne, per questo il martedì grasso era detto il carnevale, il giorno dopo il quale cominciava la penitenza, il digiuno.Prima si pecca e poi ci si pente. Colpevoli ma felici.

Il breve periodo del Carnevale portava con sé il tema del “rovesciamento” dei rapporti tra le persone. Tutto era lecito, ci si poteva abbandonare agli eccessi, i padroni servivano i servi (come nei Saturnali della Roma antica). In questo modo si concedeva al popolo ignorante l’illusione di essere simili a chi comandava.Una manipolazione per detenere il consenso. Simile ai giochi circensi del Colosseo.

Il fatto è che non è solo l’identità personale che è celata agli altri, ma soprattutto diventiamo sconosciuti a noi stessi. Qualsiasi azione viene “deresponsabilizzata” nell’inconscio dell’individuo perché lui stesso si cala psichicamente nel personaggio.Avviene una trasformazione profonda al suo interno.

Anche gli sciamani e i sacerdoti, calandosi nel mascheramento si spersonalizzano e DIVENTANO CIÒ CHE LA MASCHERA VUOLE SIGNIFICARE.

Chi presiede un rito e impersona un demone o un’entità, attraverso la maschera, ASSUME UNA NUOVA IDENTITÀ, trasformandosi in ciò che ha evocato.

Quest’aspetto è confermato dalle maschere del teatro classico, cui in passato era stato erroneamente attribuito il potere di amplificare la voce, servivano per identificare il personaggio di là dall’interprete che così rinunciava alla sua personalità nel nome più alto dell’“arte”: d’altra parte in latino “maschera” significa “persona” ed Eraclito diceva che “il destino dell’uomo è di essere la maschera di un dio”.

La percezione di se stessi cambia, muta.

Se ti metti una qualsiasi maschera non sei più tu, ma altro da te, e i tuoi comportamenti non saranno più gli stessi.

LA MASCHERA NON FUNZIONA SOLO PER L’ESTERNO MA SOPRATTUTTO PER L’INTERNO.

Un discorso a parte va fatto per le “maschere funerarie”. La prima che è stata ritrovata è datata 32.000 anni fa, di selce, appartenuta a un probabile neandertaliano. Il perché delle maschere funerarie è da ricercarsi nella “rigenerazione” del defunto dopo la morte. Anche qui la maschera denota un cambiamento di personalità.

2) ANNULLAMENTO DELLA PERSONALITÀ

Le persone s’identificano solitamente dai lineamenti del viso. La maschera impedisce questo riconoscimento ANNULLANDO LA PERSONALITA’ DEL SOGGETTO.

La maschera fornisce un volto nuovo a quel corpo.

Struttura anche un pensiero diverso in chi la indossa e fa in modo che questo nuovo elemento che si è aggiunto interagisca e dialoghi con altri simili nelle stesse condizioni. Il nuovo pensiero s’impone sia all’interno, nel soggetto, che all’esterno, nel rapporto con gli altri. Si sviluppa così un effetto rete responsabile della nascita di una credenza positiva in quel gesto.

Più precisamente si assiste a una de-individualizzazione con successiva ricostituzione di una nuova psichicità, capace di difendere la nuova posizione oltre ogni riflessione e dubbio.

Si acquisiscono certezze non opinioni. Gli individui diventano i primi difensori e i primi accusatori di chi mostra un pensiero minimamente contrario al loro.

Sostanzialmente stanno semplicemente obbedendo a un ordine psichico, invisibile ma non meno concreto.

Ho svolto una mia personale indagine, su un campione di cento persone comuni, artigiani, commercianti, impiegati, svoltasi nell’arco di una settimana. Il protocollo era il seguente: 1) Entravo in confidenza con il soggetto, munito io stesso di mascherina. 2) A un certo punto me la toglievo, rispettando sempre la distanza naturalmente. Questo creava un certo imbarazzo nel soggetto .3) A quel punto, sorridendo, pronunciavo la fatidica parolina: «Scusi ma lei ci crede davvero?» 4) Il 94% per cento degli intervistati ha replicato sostanzialmente tre risposte. a) Mi adeguo. b) Non ci voglio pensarci, mi fa fatica pensare. c) Ho paura delle multe

Qualcuno ha invece detto che aveva paura di ammalarsi.

Solo 6 persone su 100 hanno affermato in tono liberatorio: «Guardi non mi faccia parlare per favore…». Gli unici con un bagliore nello sguardo.

Appare evidente che questo tipo di atteggiamento richiama la manipolazione del dominio per il mantenimento del consenso.

3) LA FUNZIONE “COPIA&INCOLLA”

Come si ottiene questo tipo di manipolazione?

Attraverso tre passaggi: a) IL CONSUMISMO b) IL CONFORMISMO c) IL GROUPTHINKING

Tutti e tre hanno come comune denominatore la funzione “copia&incolla”.

Che cosa è questa funzione? Essa comporta che gli individui replichino qualunque tipo di pensiero e azione senza verificare la fonte, ma prendendo per buono quello che dice la TV, la stampa, i media in genere, i personaggi del mainstream, il potere e il dominio.

Il consumismo alla fine si riduce a un consumo forzato e a una disumanizzazione della vita. Tutto si butta perché è tecnologicamente vecchio oppure passato di moda. L’attività dell’uomo che usa quel tale oggetto perde di significato con la morte dell’oggetto stesso, avviene una spersonalizzazione della vita nel quotidiano. Tutto si riduce a nulla.

Il conformismo invece livella a un piano medio-basso ogni desiderio e aspettativa che devono essere conformi a quello che stabiliscono la comunicazione dei media e quella pubblicitaria. Queste due macrostrutture servono per creare desideri e bisogni, per poi offrire le soluzioni.Essere conformi vuol dire essere accettati e riconosciuti, altrimenti la minaccia della solitudine e dell’abbandono sarà sempre presente. “Non sei uguale agli altri” quindi sei diverso e inadeguato.Tutta la psicologia cognitivista e comportamentista adegua l’essere umano al sistema, non considerando l’unicità esistenziale, un punto irrinunciabile.«Se ti affili, vedrai che sarà un’altra cosa…» dicono ma poi non è vero sarai solo sotto ricatto per sempre e avrai perso per sempre te stesso.

Il groupthinking è un condizionamento. Groupthink, o pensiero di gruppo, è il termine con cui, nella letteratura scientifica, s’indica una patologia del sistema di pensiero esibito dai membri di un gruppo sociale quando questi cercano di minimizzare i conflitti e raggiungere il consenso senza un adeguato ricorso alla messa a punto, analisi e valutazione critica delle idee. Creatività individuale, originalità, autonomia di pensiero, sono tutti sacrificati in cambio al perseguimento dei valori di coesione del gruppo; allo stesso modo, sono smarriti quei vantaggi derivanti da un ragionevole bilanciamento di scelte e opinioni diverse o contrapposte, vantaggi che possono di norma essere ottenuti agendo come gruppo nel prendere decisioni. Il fenomeno del groupthinking attecchisce in quei contesti sociali in cui i membri di un determinato gruppo evitano di promuovere punti di vista che vadano al di fuori di quella zona confortevole delimitata dal pensiero consensuale. Si deve creare un pensiero comune che permetta al dominio di imporre scelte e decisioni che altrimenti non avrebbe potuto instaurare.

Esiste sempre “L’ASSENZA DI SÉ” in tutti questi fenomeni.Le persone devono restare inevolute, non devono assolutamente mai provare il piacere di pensare con la propria testa.

Per raggiungere questo s’instaura un clima di terrore, fatto di paure, di posti di blocco, lampeggianti, divise, armi e talvolta tanta arroganza.

4) LA PSICOMAGIA DI JODOROWSKYI RITUALI NON SONO FATTI A CASO.

In qualunque operazione magica il rispetto del preciso rituale, sui gesti, le parole, i vestiti, le maschere, l’intonazione della voce, il modo di camminare, è garanzia di successo.

Il rituale non solo ti mette in rapporto con altri possibili mondi ma parla all’inconscio di chi ascolta e di chi compie il rito.

Un esempio di questa tecnica lo offre Jodorowsky, esperto esoterista, molto intelligente, specializzato nel guarire le persone da se stesse. Studioso di rituali magici, attraverso il linguaggio dei simboli, parla direttamente all’inconscio delle persone, bypassando la razionalità della mente, per favorire/condizionare il cambiamento desiderato.

La sua Psicomagia: consiste nel proporre al soggetto che desidera mutare in meglio la sua situazione, di compiere un gesto simbolico, apparentemente illogico ma fortemente emotivo, tale da permettergli di cambiare punto di vista, attivando così la guarigione.

Ti faccio un esempio. Una volta avevo un cliente che era vittima del fratello. Gli avevano inculcato in famiglia che il fratello era superiore a tutto e a tutti e che lui gli doveva obbedienza assoluta.Io gli ho fatto prendere una fotografia del fratello e gli ho detto che avrebbe dovuto metterla sotto i piedi 5 volte al giorno per una settimana, pensando intensamente che STAVA CAMMINANDO SOPRA DI LUI E CHE PERCEPIVA IL FRATELLO SOTTO I SUOI PIEDI.

Questo ha risolto il problema interiore della persona.

Sono atti poetici, teatrali, ricchi di emozione e di simbologie che smuovono forze sopite e spesso inconsce che la persona non credeva di avere.

Compiere dei rituali incide profondamente sia sulla psiche sia sulla realtà.

5) IL SIMBOLISMO ONIRICO DELLA MASCHERA

La maschera è sempre negativa. Copre una falsità, un inganno, una finzione.

In particolare questa mascherina inibisce la parte inferiore del volto, cioè la respirazione, la nutrizione e il linguaggio. Quando s’indossa, non possiamo respirare agevolmente (-15% di ossigeno) e la concentrazione di anidride carbonica raddoppia (alcalosi), non possiamo mangiare, bere, gustare e non riusciamo a parlare bene inibisce lo scambio verbale.

Inoltre la mascherina a tutti impone un’omologazione visiva non indifferente.

Qualcuno la chiama “museruola” come quella messa ai cani di taglia grossa. Ed è vero.

È un tentativo per addomesticare quei pochi neuroni che ancora la massa possiede per realizzare dei neuro schiavi a tutti gli effetti.

6) CONCLUSIONE

Abbiamo visto quanto la maschera sia un oggetto che produce cambiamenti esterni, ma soprattutto interni.

Si tratta di uno strumento magico per eccellenza.Il Dominio fa credere alla massa che la magia sia il Mago Otelma, Silvan, Vanna Marchi. Tutti fenomeni di costume.In realtà chi tira le fila sa benissimo che cosa è la magia e come si opera.

L’operazione in atto è una “OPERAZIONE MAGICA” su tutti i fronti, tesa a smuovere forze imponenti e a minimizzare ogni tipo di reazione, incanalandola in percorsi mentali di totale accettazione senza alcuna possibilità di porsi delle domande sull’effettiva validità di tutte le misure poste in atto.

Infondere paura, terrore, per condizionare la risposta attesa.

Impedire ogni possibile reazione che distolga la mandria (poco) umana dal correre ciecamente verso il precipizio, per immolarsi a un bieco desiderio di potere egemone e totalitario. Per fortuna nessuno mai nella storia del mondo è riuscito a prendere completamente il potere.Anche questa volta sarà così. Passeranno diversi anni nei quali tutti noi avremo la grande opportunità di crescere superando difficoltà inaudite.

L’importante è iniziare a mettere in gioco strumenti nuovi, più adatti a fronteggiare questa emergenza. Sicuramente andare via dalle città e vivere in piccoli paesi dove un minimo di sostentamento naturale è molto più accessibile. Iniziare a sfoltire amicizie, conoscenze e parentele varie, appartenenti alla vecchia specie. I condizionamenti sono ormai troppo elevati, non è più possibile alcun dialogo. Si rischia solo di essere aggrediti ed eliminati.

Siamo di fronte a una “speciazione” cioè la nascita di una nuova specie che si distaccherà da quella precedente in malo modo fino a configgere apertamente. La specie umana si sta assottigliando quantitativamente ma incrementa nelle qualità umane di un nuovo rinascimento, abbandonando definitivamente quel consenso robotico, inumano, alieno, mostruoso che contraddistingue la maggioranza.

Corrado Malanga, noto e affermato ricercatore, attraverso il suo lavoro trentennale di ricerca, sostiene che oltre l’80% dell’umanità è costituito da persone senza anima. Questi una volta morti si dissolveranno. Sono persone attente solo al potere, materiali e incapaci di considerare l’Essere.

Non sono in grado di affermare che sia proprio così, ma gli effetti che vedo intorno a me e la mia trenta cinquennale esperienza, gli danno pienamente ragione.

È necessario ora più che mai fortificare la propria anima, lottare per soddisfare il nostro Punto Zero e cercare di stringersi intorno a persone che dimostrino il coraggio di esistere e che siano indifferenti alle lusinghe del potere e del dominio.

Molti si vendono, si prostituiscono per uno sputo di visibilità mediatica. Sono schiavi obbedienti ma schivi restano e possono trasmettere solo il servaggio, nulla più. Pochi rifiutano ma saranno proprio quei pochi che scriveranno la storia e non certamente “i molti” che hanno contribuito a questo sfacelo.

Io sono convinto che ne usciremo, probabilmente moriranno molte persone e anche questo lo ritengo inevitabile e nell’economia dell’Universo anche questo ha una sua ferrea logica. Non si può pensare di vivere a caso come molti stanno facendo. Alla fine ci sarà un prezzo da pagare per tutti.

L’importante è essere centrati il più possibile e mutare completamente visione del lavoro, della famiglia, della società, del futuro.

A estremi mali, estremi rimedi.

E alla fine, in tutto questo caos, mi viene in mente un libro e poi il relativo film interpretato dall’intelligentissimo Paolo Villaggio: “Speriamo che io me la cavo”.

L’importante è restare vivi e non perdere mai se stessi. Poi si vedrà-

Maurizio Fani